Cari colleghi,
quando molteplici fatti inaspettati si determinano in rapida successione, l’incalzare degli eventi rischia di far perdere la visione generale. Ma un dirigente non deve mai consentire che questo accada.
I problemi che, a partire dalla debole ripresa del 2019, ci hanno portato fino ad oggi attraverso la pandemia, culminati con l’esplosione dei prezzi delle materie prime e la guerra, ci hanno costretto a governare tatticamente – un giorno dopo l’altro – una serie quasi infinita di velocissimi cambiamenti. Il primo è stato il fermo pandemico di molte attività con la conseguente recessione. Poi è venuta la sospensione del patto di stabilità europeo con i relativi scostamenti di bilancio e l’aumento del debito, indispensabili per erogare necessari sussidi. Infine, il rimbalzo della produzione è stato preso in contropiede dall’aumento del prezzo delle materie prime, reso addirittura rovinoso dallo scoppio della guerra in Europa. La successiva riconversione affannosa dei rapporti commerciali verso l’ovest, l’Africa e l’oriente, causata dal venir meno del mercato russo dell’est, ha reso tutto ancora più difficile, proprio mentre il “mostro” dell’inflazione cominciava a erodere il potere d’acquisto dei salari. Il tutto contemporaneamente alla “battaglia” per il corretto utilizzo dei fondi del PNRR, la quale è tutt’ora in corso e ci impegnerà fino al 2026.
Davvero non c’è stato molto tempo per la strategia, perché ciascuno di noi nella propria azienda ha dovuto affrontare in modo pragmatico, di giorno in giorno, l’incalzare degli eventi. Alcuni si sono trovati a governare settori industriali devastati dai problemi e dal fermo di produzione, altri hanno incontrato opportunità inaspettate ma che richiedevano riconversioni repentine, altri ancora hanno avuto invece la necessità di generare accelerazioni di produzione improvvise e brucianti, come ad esempio accaduto all’inizio della pandemia nei settori delle telecomunicazioni e come accade oggi nel comparto energetico. Ma tutti abbiamo dovuto affrontare quello che succedeva, un giorno dopo l’altro, in modo pragmatico, cercando di governare la barca nella tempesta. Come tutti i bravi naviganti sapevamo che l’importante era uscire dal fortunale con meno danni possibile e poi, la mattina dopo, col sole e la buona visibilità avremmo potuto rivedere le strategie e tracciare una nuova rotta.
Oggi ancora non sappiamo se il 2023 sarà l’anno in cui potremo finalmente avere una prospettiva sufficiente a consentirci una programmazione di lungo periodo, ma lo speriamo vivamente. Inoltre, per noi come dirigenti industriali, il 2023 è l’anno in cui scade il contratto di categoria e, pertanto, è un anno di svolta in un momento cruciale.
Nella nostra rivista Professione Dirigente questo articolo di fine anno è normalmente dedicato agli auguri e ai buoni propositi natalizi per l’anno nuovo ma, come sanno bene i nostri famigliari, noi dirigenti sentiamo sempre una grande responsabilità e, anche nei momenti di festa, finiamo sempre per parlare di lavoro e delle cose indispensabili da fare. Quindi oggi, come Presidente di Federmanager Roma e come Capo della Delegazione Trattante del CCNL, sento il dovere di darvi una chiara immagine della situazione e delle prospettive per quanto ciò sia possibile.
Come abbiamo detto molte volte, la società italiana fino ad oggi non ci ha riconosciuto il giusto merito per il contributo determinante che abbiamo dato e stiamo dando al benessere del Paese. Le nostre tutele per la conservazione del posto di lavoro sono, infatti, costantemente ridotte rispetto a quelle degli altri dipendenti, le nostre retribuzioni sono sotto attacco, le nostre pensioni sono costantemente tagliate, i nostri benefit sono sovrattassati e accusati di essere privilegi. Ogni anno vengono emanate nuove leggi che generano una sorta di responsabilità penale oggettiva per la posizione del dirigente (a mio avviso incostituzionale) e con discutibili applicazioni tali normative i dirigenti sono usati come “capri espiatori” per ogni evento che possa generare allarme sociale e, inoltre, ultimamente, con la logica perversa dell’ISEE veniamo addirittura costretti a pagare per servizi sociali che, con l’imposizione fiscale esagerata di cui siamo fatti segno, abbiamo già pagato almeno dieci volte. Questo è quello che riceviamo invece della gratitudine e, tuttavia, continuiamo a fare il nostro dovere.
Quindi oggi è giunto il momento in cui dobbiamo approfittare di questo auspicato momento di “quiete dopo la tempesta” che speriamo di vivere nel 2023 per guardare al nostro futuro con una visione di prospettiva che non sia solo a favore delle nostre aziende e del Paese ma che – una volta tanto – sia anche a favore della nostra categoria.
Le parole d’ordine mi sembrano abbastanza chiare. Dobbiamo migliorare la nostra immagine facendo capire l’importanza e i meriti del nostro lavoro e, nel contempo, dobbiamo perlomeno ridurre, se non eliminare del tutto, le ingiustizie perpetrate nei nostri confronti che ho appena elencato. Ma per poterlo fare abbiamo bisogno di una superiore forza politica che nasca dalla maggiore rappresentatività e compattezza di una categoria come la nostra in cui purtroppo – è giusto riconoscerlo onestamente – molto spesso in passato abbiamo peccato di individualismo.
Affrontando il problema in modo pratico facciamo una fotografia della situazione. Oggi tra colleghi pensionati e colleghi in servizio sono iscritti alla nostra Federmanager meno della metà dei dirigenti industriali aventi diritto. Se fossimo iscritti tutti supereremmo abbondantemente il numero di centomila e potremmo mettere sul tavolo ben altra forza negoziale e ben altra forza comunicativa. Gli appelli ad iscriversi si succedono da anni ma sono purtroppo in parte inefficaci a causa del nostro individualismo. Sarebbe giusto e ragionevole che tutti coloro che sono iscritti ai nostri Enti di tutela previdenziale e assistenziale (Previndai, Fasi, Assidai eccetera) si iscrivessero anche a Federmanager. E questo è un appello che faccio a tutti voi di fare iscrivere almeno uno o due colleghi nel 2023 spiegando loro l’importanza di questo gesto.
Altro tema è quello dei super quadri. Ad oggi la nostra categoria di dirigenti non ha infatti un chiaro perimetro di consistenza. Se andiamo ad analizzare le declaratorie che individuano le classiche competenze del dirigente (governo di risorse, ruoli di coordinamento, attribuzione di deleghe eccetera) vediamo che tali elementi sono valutati in modo variabile, al punto che il medesimo incarico (ad esempio “capo del personale”) nella vita pratica viene interpretato, a seconda della singola azienda, nel senso che tale figura possa o non possa essere dirigente.
Pertanto, in tal modo la nostra categoria rimane esposta ad essere ridotta di numero e, per assurdo, addirittura eliminata semplicemente attribuendo incarichi a super quadri e non nominando più dirigenti. Questa cosa è effettivamente successa in alcuni periodi anche in grandi aziende e dimostra – a mio avviso – la debolezza di questa modalità legata alla definizione di declaratorie di ruoli e competenze, molto bella in apparenza ma spesso del tutto inefficace in pratica.
A mio parere la definizione del ruolo aziendale dovrebbe rimanere come stella polare nella individuazione delle caratteristiche per la nomina a dirigente, ma aggiungendo un elemento di garanzia legato al livello di retribuzione. In parole povere i lavoratori con qualifica di super quadro che godono di una retribuzione di base (RAL) pari o superiore a quella minima stabilita nel nostro CCNL per i dirigenti dovrebbero costantemente essere nominati dirigenti, naturalmente a valle di una revisione delle loro qualifiche la quale – considerando l’alto livello retributivo – non potrebbe che dare un esito positivo nella stragrande maggioranza dei casi.
E del resto se una azienda è disposta a pagare a un dipendente una RAL superiore a quella minima dei dirigenti non sarebbe più dignitoso per tutti che gli fosse riconosciuta la categoria dirigenziale? Questo riporterebbe in famiglia da noi molte migliaia di colleghi manager quadri che a mio avviso, considerando la retribuzione e le responsabilità attribuite, di quadro ormai hanno solo la qualifica contrattuale. Io intendo portare in tutte le sedi questa proposta che ritengo equa, logica e al passo con i tempi.
A questo punto, compattata dentro Federmanager, la forza di tutta la dirigenza industriale italiana e avendo raggiunto un numero di rappresentatività molto superiore alle centomila unità, l’ultima cosa che rimarrebbe da fare sarebbe quella di riunire la forza complessiva della categoria allargata al mondo del la dirigenza pubblica, del commercio, del mondo bancario e di ogni altro settore che abbia una dirigenza.
A questo sta già pensando il nostro lungimirante Presidente Nazionale Stefano Cuzzilla che, quale Presidente della Confederazione CIDA, persegue questo progetto con la determinazione e la forza politica che lo contraddistinguono e grazie alle quali si è potuta svolgere con straordinario successo la recente Assemblea della CIDA all’Auditorium Parco della Musica, con oltre mille colleghi presenti e molti di più in collegamento da remoto. Sono certo che il Presidente Cuzzilla avrà totale successo in questo grande progetto e tutti noi lo appoggeremo con assoluta determinazione.
Non esiste nessun motivo morale o di interesse che impedisca questa grande unione. I problemi di un primario di medicina, di un dirigente pubblico o di un direttore di banca sono esattamente gli stessi che abbiamo noi, i nostri meriti verso la società italiana sono molto simili, i nostri interessi sono coincidenti e gli attacchi che subiamo sono i medesimi. Dunque mettiamo da parte il nostro individualismo e, per una volta, facciamo anche il nostro interesse, in parallelo a quanto stiamo continuando a fare con immutato impegno a favore delle aziende e del Paese.
Per quanto mi riguarda farò tutto il possibile a Roma e nella trattativa del CCNL perché questa unità sia raggiunta e questa forza della categoria sia messa a frutto, con il sogno che il 2023 sia per davvero l’anno della svolta e che tra un anno avremo raggiunto questi obiettivi.